Servio Sulpicio Galba - Il Sapere Storico. De Historia commentarii

Il Sapere Storico
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Articolo a cura di Andrea Contorni

«...Eppure quel vecchio troppo parsimonioso avrebbe potuto conciliarsi gli animi anche con una gratifica di minima entità. Gli fu fatale il severo rigore di stampo antico, che ormai male si concilia con la nostra epoca.»

Così Tacito nelle sue "Historiae" parla di Servio Sulpicio Galba, imperatore romano per soli sette mesi, primo a regnare durante il fatidico "Anno dei quattro imperatori". Egli succedette a Nerone nel giugno del 68. Era un uomo di carriera, un generale rispettato e per qualcuno una sorta di predestinato, l'unico in grado di risollevare le sorti dell'Urbe, dopo gli anni disgraziati e scellerati dell'Enobarbo. Ma il Fato non fu favorevole a Galba. E lui fece di tutto per peggiorare ulteriormente la situazione.

Un uomo di fiera estrazione italica

Galba venne al mondo il 24 dicembre del 3 a.C. a Terracina, rampollo di una famiglia di antica nobilità. La gens Sulpicia era una delle casate patrizie più illustri di Roma fin dai tempi della nascita della Repubblica. Il nostro aveva conseguito un cursus honorum lungo il regno di ben cinque imperatori, Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone, molto apprezzato dai primi due e rispettato dagli altri. Poteva vantare il favore di Livia Augusta e una non ben definita relazione con Agrippina, madre  dell'Enobarbo. Due volte console (33 e 69), legato in Germania (39-40) e in Spagna (61-68), proconsole in Africa (44-46), membro del collegio dei Quindicemviri e degli Augustali, Galba si era sempre distinto per competenza, estrema severità nell'esercizio dei suoi doveri e lealtà.

Già alla morte di Caligola, aveva rifiutato la porpora imperiale per mettersi al servizio di Claudio di cui divenne persino amico fidato.  Vedovo inconsolabile dopo la perdita della moglie Emilia Lepida, morta durante un'epidemia insieme ai due figli, egli era un uomo d'altri tempi, una sorta di reincarnazione di Catone il Censore; duro, inflessibile, un ottimo soldato e un ancor più valido amministratore. Vacillò una prima volta nella vita dinanzi alla rivolta di Giulio Vindice da cui prese il via l'ultimo atto della sua esistenza.
Vindice era un senatore, propretore della Gallia Lugdunense. In loco godeva di grande rispetto dato che discendeva da una famiglia reale dell'Aquitania. Si fece promotore di una rivolta contro Nerone, ottenendo in breve il consenso di tutti i notabili locali. Ma Vindice evitò bene di farsi acclamare imperatore, preferendo rivolgersi al più degno romano dell'epoca, il nostro Galba. Questi, agendo appunto da "ottimo romano" rifiutò il titolo, rimettendosi all'autorità del Senato, in aperta opposizione a Nerone. Quando gli giunse l'ordine imperiale di suicidarsi, Galba ebbe paura, cadendo nella più totale incertezza. Nel frattempo, Vindice era giunto a contesa con Verginio Rufo, governatore dal 65 della Germania superiore. I due tentarono un accordo, ma per un'incomprensione tra i rispettivi soldati, ci fu uno scontro. Il povero Vindice, sconfitto, decise di suicidarsi. Curioso che anche Rufo, seppur acclamato dai propri uomini, rifiutò la porpora, rimettendo la scelta al Senato.

In un delirio di rivolte, nel giugno del 68, Nerone fu deposto dal Senato. L'imperatore aveva perso anche l'appoggio della guardia pretoriana sotto la spinta di Ninfidio Sabino. Questi era riuscito a far dimettere il turpe Tigellino (fedelissimo di Nerone) dalla carica di prefetto del pretorio, arrogando la carica per se stesso e pronunciandosi a favore di Galba. Il 9 giugno, il citaredo decise di farla finita. Galba divenne ufficialmente imperatore con tanto di investitura da parte del Senato.

Un inizio terribile

Se il carattere tutto sommato poteva reggere l'urto del nuovo gravoso compito, il fisico evidentemente no. Galba era anziano, un uomo di settantadue primavere in un pessimo stato di salute. Svetonio lo descrive completamente calvo, claudicante, con gli arti talmente deformati dalla gotta da non poter indossare calzature, né mantenere qualcosa di minimamente pesante in mano. Una figura minata oltretutto da una grande ernia al fianco che a malapena conteneva con una strettissima fasciatura. Insomma Galba era a pezzi nel fisico e qualcuno ritiene anche nella mente dato che i suoi primi atti da imperatore furono di fatto un mezzo disastro. Per raggiungere Roma dalla Spagna, ci mise tre mesi. Passando per la tumutuosa Gallia, tentò di onorare le città che lo avevano appoggiato attraverso Vindice, punendo di contro tutte le altre. Fu comunque avaro di premi con le prime tanto quanto fu crudele con le seconde. Nell'Urbe prima del nuovo imperatore, giunse la sua fama di malvagio spilorcio. Nel frattempo un messaggio aveva raggiunto Ninfidio Sabino, togliendogli la carica di prefetto del pretorio a favore di Cornelio Lacone, braccio destro di Galba.

Rispolverando una vecchia leggenda metropolitana che lo vedeva figlio illegittimo di Caligola, Ninfidio si nominò imperatore finendo immediatamente scannato dai suoi stessi pretoriani, allettati dai presunti denari che avrebbero ricevuto da Galba... poveri illusi. Le aspettative di questi soldati furono infatti del tutto disattese. L'imperatore fermo alle porte di Roma con le legioni spagnole era intento nel massacro dei marinai ingaggiati da Nerone, rei di aver chiesto con una certa veemenza di essere aggregati all'armata imperiale. Galba insomma entrò in città calpestando il sangue di cittadini romani...

Decisioni catastrofiche

Ai pretoriani in attesa del donativo promesso a suo tempo da Ninfidio rispose con una frase del tipo "io arruolo soldati, non li compro", non prima di aver licenziato tutta la guardia germanica che era stata di Nerone. Galba si rese impopolare ovunque e dovunque richiedendo indietro a comunità, città e comuni cittadini tutte le elargizioni profuse a piene mani anni prima dall'Enobarbo. Chiuse il Circo Massimo, proibì feste e giochi e inaugurò un regime di profonda austerità che ai molti sembrò una vile tirchieria. Mandò via da Roma anche le legioni spagnole. Le casse statali vuote divennero per lui un'ossessione. Tutti nell'Urbe iniziarono a rimpiangere i bagordi neroniani.

Incattivito dalla salute cagionevole e dalla situazione finanziaria particolarmente complicata, Galba fece uccidere Fonteio Capitone e Lucio Clodio Macro, rispettivamente governatori della Germania inferiore e dell'Africa, perché si erano messi di traverso, covando istinti di ribellione contro il suo potere. Destituì il popolare eroe Verginio Rufo sostituendolo con l'anziano Ordeonio Flacco, una nomina del tutto inappropriata che le legioni della Germania superiore affrontarono come un'onta abbattendo le immagini imperiali. A questo atto di ribellione, Galba rispose spedendo al nord, come legato delle legioni della Germania inferiore, un certo Aulo Vitellio, un inetto con la passione per il cibo, salito agli onori del cursus honorum grazie al buon nome del padre.

Non pago, adottò come successore all'impero Pisone Liciniano, un bacchettone all'antica dal portamento fiero ma senza alcuna determinazione né peso politico, scartando, su consiglio del fidato liberto Icelo Marciano, Marco Salvio Otone. Si trattava di un nobile di origine etrusca dalle discrete qualità, governatore della Lusitania. Era stato un intimo amico di Nerone ma nella disputa imperiale aveva appoggiato senza remore l'ascesa di Galba. Otone non prese affatto bene la mancata adozione. Giurò tremenda vendetta; l'anno dei quattro imperatori era servito.

Il triste epilogo di Galba

Servio Sulpicio Galba - imperatore romanoNel gennaio del 69 la situazione nell'Impero era esplosiva. In Germania Vitellio era stato acclamato imperatore dalle sue legioni. Il vecchio Flacco, a malincuore, aveva accettato di passare dalla sua parte. A Roma, il giorno 15 gennaio, tutto era pronto per la congiura organizzata da Otone. Si sparse la voce di tumulti tra il popolo e i soldati. Si disse che Otone fosse stato trucidato nell'accampamento della Legio I Adiutrix. Galba, trasportato sopra una portantina si diresse al Foro, accompagnato dai pretoriani, probabilmente per rendersi conto della situazione di persona. Giunto sul posto, il corteo imperiale entrò in contatto con i soldati di Otone. Racconta Tacito:

«Vistasi addosso la schiera degli armati, il portainsegne della coorte che accompagnava Galba strappò l'immagine di Galba e la gettò per terra. Fu, allora, chiaro che tutti i soldati parteggiavano per Otone: la folla lasciò vuoto il Foro e coloro che ancor esitavano furono minacciati. Vicino al Lacus Curtius il tremore dei portatori sbalzò Galba dalla lettiga e lo fece rotolare a terra. Le sue ultime parole sono state variamente tramandate da chi lo odiava e da chi, invece, provava ammirazione per lui. Qualcuno dice che, con voce supplichevole, chiedesse che male avesse mai fatto. E implorava anche un po' di tempo per pagare il donativo. Molti però affermano che offrisse volontariamente il collo ai suoi boia: facessero pure, lo colpissero se pensassero di fare cosa utile allo stato. Ma per gli uccisori, cosa abbia effettivamente detto, non ha importanza.»

Quel giorno furono eliminati anche Pisone, il liberto Icelo, il prefetto Lacone e il console Vinio, tutti personaggi accusati da Tacito di aver servito Galba con inettitudine e per soli scopi personali. Conclude Tacito:

«Così abbandonò la vita Servio Galba: aveva 73 anni, era vissuto in buona sorte sotto cinque principi ed era stato più fortunato durante il principato altrui che durante il proprio. La sua era una famiglia di antica nobiltà, grande il suo patrimonio. Quanto a capacità, era un mediocre che non possedeva grandi virtù ma anche privo di vizi. Il successo gli faceva gola ma non era un fanfarone; non attentava ai patrimoni altrui e, se era parsimonioso con il proprio denaro, sembrava perfino avaro quando si trattava del denaro pubblico. Trattava amici e liberti, se erano brave persone, con un'indulgenza niente affatto biasimevole; se erano malvagi, fingeva colpevolmente di non accorgersene. In ogni modo gli illustri natali e la paura che contrassegnava quei tempi lo giustificarono e mascherarono come saggezza quella che era apatia. Nel fiore degli anni si conquistò buona gloria in Germania. Resse, da proconsole, con grande avvedutezza l'Africa e con ugual senso di giustizia la Spagna citeriore, quando era già anziano: finché rimase privato cittadino, sembrava che avrebbe meritato qualcosa di più e per consenso di tutti era considerato degno del principato, se non fosse divenuto imperatore.»

Bibliografia e immagini
  • "Fonti per la Storia Romana", Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone. Le Monnier Università.
  • "Storia Romana", Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone. Le Monnier Università.
  • "Passioni, intrigi, atrocità degli imperatori romani", Furio Sampoli. Newton Compton Editori 2007.
  • "Gli imperatori romani. Storia e segreti", Michael Grant. Newton Compton Editori 2008.
  • Immagini e fotografie di pubblico dominio, ove non diversamente specificato. Fonte Wikimedia.

Data di pubblicazione articolo: 19 Settembre 2022
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