Ashoka il Grande
Articolo a cura di Anna Bozzetto
La dinastia Maurya iniziò nel 321 a.C. con Candragupta (343-274 a.C.), membro dell’aristocrazia guerriera del Magadha. In soli dieci anni, Candragupta fondò un impero che si estendeva a nord dal bacino del Gange a quello dell’Indo e a sud fino al corso del fiume Narbadda. Grazie a un trattato di pace con Seleuco I, satrapo di Babilonia e futuro primo sovrano dell'impero seleucide, stipulato nel 306 a.C., Candragupta ottenne anche i territori a ovest dell’Indo. Il suo successore Bindusara (320-268 a.C.) ingrandì l’impero Maurya espandendosi fino al Deccan. Per il suo valore guerriero, Bindusara era noto come Amitraghata, che significa sterminatore di nemici. La fama dei due sovrani Maurya, fondata su guerre di conquista, è stata eclissata da quella di Ashoka.
Ashoka era un figlio illegittimo di Bindusara nato probabilmente dalla relazione del sovrano con una donna greca della dinastia dei Seleucidi. Alla morte del padre si sbarazzò dei fratellastri, non disdegnando nemmeno, come racconta la tradizione, l’assassinio di quelli che gli erano più ostili. Susima, il primo in linea di successione al trono fu brutalmente eliminato. Ashoka ascese così al trono. Nei suoi primi anni di regno non si discostò dalla politica espansionistica dei suoi predecessori. Infatti, nell’ottavo anno del suo regno conquistò il regno del Kalinga. Fu una schiacciante vittoria e, nello stesso tempo, un immane massacro che provocò nel giovane re un profondo rimorso.
A quella crisi di coscienza seguì la conversione al Buddismo e il ripudio della guerra e della violenza. La nuova politica di Ashoka, influenzata dalla sua completa adesione al Dharma (l'insegnamento del Buddha), è testimoniata dagli editti incisi su pietra e colonna, posti in vari luoghi dell’impero Maurya e scritti nelle più svariate lingue, dal sanscrito al greco e all'aramaico, fino al dialetto indiano del Magadha. Proverò a esaminare la politica interna e la politica internazionale di Ashoka in base alla testimonianza fornita dai suoi editti, in cui il re si presenta col nome di Piyadassi che significa "dal benevolo sguardo".
Il sovrano raccomanda l'astensione dalla violenza e il rispetto verso tutti gli esseri viventi, in particolare verso i genitori, i congiunti e gli asceti (editto III su roccia). Anche gli schiavi e i domestici devono essere trattati con umanità e gentilezza (editto IX ed editto XI su roccia). In questi editti il re esprime il concetto buddista di Maitri (Metta in lingua Pali): la benevolenza incondizionata nei confronti dei parenti e dei maestri, ma anche nei confronti di tutti gli uomini, nemici compresi, e di tutti gli esseri viventi. Nel VI editto su roccia chiede ai sudditi e ai ministri d'informarlo dei problemi del regno ovunque egli si trovi, senza timore di recargli disturbo.
Questo editto è permeato dall'ideale del bodhisattva, tanto caro al Buddismo Mahayana. Ashoka vi afferma infatti: "Non sono mai pago di ciò che mi sforzo di fare nel pubblico interesse. È un dovere per me adoperarmi per il bene di tutto il mondo"[1].



Da sinistra: la massima estensione dell'impero Maurya durante il regno di Ashoka, rilievo con la probabile figura di Ashoka al centro (licenza Creative Commons), editto di Ashoka in lingua greca e aramaica.
La volontà di avvicinarsi alla figura compassionevole del bodhisattva ha inoltre spinto il sovrano a far costruire ospedali per uomini e animali (editto II su roccia). Menziona in vari editti l'attività dei "ministri della Compassione": sono incaricati d'istruire nella dottrina della Compassione gli uomini di tutti i ceti sociali (editti III e V su roccia), di distribuire le elemosine e di gestire gli interventi a favore di tutti i culti (editto XXIII su colonna). Tuttavia è da escludere che tali ministri abbiano avuto compiti di polizia religiosa, dato che il re proclamò l'assoluta libertà di culto. Il XII editto su roccia è a proposito emblematico. Ashoka dichiara di rendere onore a tutte le religioni e prescrive una identica tolleranza a tutti gli abitanti del suo impero: "Si deve sempre rispetto alle religioni altrui. Agendo in questo modo si esalta la propria religione e non si fa offesa alle altre; agendo diversamente si fa ingiuria alla propria religione e alle altre. Chi dunque esalta la propria religione e denigra le altre per devozione alla propria religione e per glorificarla, con tale eccesso fa danno alla propria religione"[2]
La Politica internazionale

Bibliografia, note e immagini
- "Gli Editti di Asoka", G. Pugliese Caratelli. Adelphi Editore 2003.
- [1] op.cit. p.52 - [2] op.cit. p.64 -[3] op.cit. p.78 -[4] op.cit. p.66
- "Testo Atlante di Storia Antica", S. Crinò, Soc. Editrice Dante Alighieri.
- Immagini e fotografie di pubblico dominio, ove non diversamente specificato. Fonte Wikipedia.
Data di pubblicazione articolo: 29 marzo 2019

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