Lucio Giunio Bruto - Il Sapere Storico. De Historia commentarii

Il Sapere Storico
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Articolo a cura di Andrea Contorni R.

Lucio Tarquinio, l'ultimo re di Roma

Lucio era figlio di Tarquinio Prisco e fratello di Arunte. I due giovani principi sposarono le figlie di Servio Tullio; Tullia Maggiore divenne moglie di Lucio Tarquinio mentre la Minore andò ad Arunte. L'incrocio di fratelli e sorelle ebbe un esito fatale. Poco tempo dopo infatti, quasi nello stesso periodo sia Arunte che Tullia Maggiore morirono. Furono probabilmente uccisi dai propri consorti i quali, col tacito assenso di un rassegnato Servio Tullio, convolarono a nozze. Lucio bramava il potere ma sul trono sedeva ancora l'anziano suocero. La "diabolica" coppia decise così di far fuori anche il vecchio re. Fu così che un giorno Lucio si presentò nella Curia e come se nulla fosse si sedette sul trono rivendicandolo per sé. Quando sopraggiunse Servio Tullio, scandalizzato per l'affronto, ne nacque un violento parapiglia. Lucio spinse fuori dalla sala il vecchio re con una tale veemenza che quello rotolò giù per la scalinata d'ingresso. Servio, ferito, si rialzò e stava per allontanarsi dal luogo quando un carro, lanciatò a tutta la velocità, lo investì facendo scempio del suo corpo. Il cocchio era guidato da Tullia Minore. Così nacque il regno di Tarquinio il Superbo. Correva l'anno 539 a.C. e secondo la datazione ufficiale, l'ultimo re di Roma avrebbe governato dal 535 al 509 a.C., anno in cui fu messo al bando dall'Urbe. I suoi primi atti di governo furono all'insegna della crudeltà tra epurazioni di senatori e ferocia varia. Negò persino i funerali al povero Servio Tullio.

Narra lo storico romano Tito Livio: «Quindi cominciò a regnare Lucio Tarquinio, a cui per la sua condotta fu dato il soprannome di Superbo: vietò infatti la sepoltura al suocero, dicendo che anche Romolo era morto insepolto e fece uccidere i più eminenti senatori che credeva avessero parteggiato per Servio...»

La triste sorte di Lucrezia

Tarquinio il Superbo aveva assunto il potere con la forza senza l'approvazione di popolo e Senato e per mantenerlo arruolò un piccolo esercito di guardie armate che lo seguiva ovunque. Viene descritto dalle fonti antiche come un tiranno, violento e dispotico, degenere e omicida. Uno che andava per la sua strada senza ascoltare nessuno, neppure il Senato che aveva in breve ridotto ai minimi termini tra sparizioni e ammazzamenti. Se c'era un oppositore, al dialogo preferiva l'eliminazione fisica. Eppure era un grande condottiero, uno di quelli che amava la guerra e che al termine di ogni campagna rendeva omaggio agli Dèi con parte del bottino. Ma quale fu la causa che provocò il suo forzato allontanamento da Roma? Gli storici moderni propendono per un passaggio "gentile" e graduale dalla monarchia alla repubblica ma leggende e miti parlando di tutt'altra storia. Se il padre era un dispotico omicida e la madre una patricida, i figli, Tito, Arrunte e Sesto, dovevano essere necessariamente un trio di debosciati. E infatti Sesto Tarquinio, ultimo nato della casata reale, ebbe la geniale idea di fare sua Lucrezia, una matrona romana irreprensibile, moglie di suo cugino Lucio Tarquinio Collatino. Lucrezia era nota e ammirata per la delicata bellezza e la fedeltà coniugale. Una notte, da ospite in casa del parente a Collatia e in assenza di Collatino, Lucio violentò Lucrezia e ne fu immensamente soddisfatto. Narra Tito Livo ("Ab Urbe condita libri", lib. I, 58) che il mattino seguente la sfortunata donna si recò fuori dal borgo, al campo militare dove stavano il marito e il padre. Confessò di aver subito violenza da Lucio Tarquinio. Giurò che il suo cuore era rimasto puro seppur l'onore violato da un'azione abominevole. Pretese dagli uomini che l'ascoltavano sbigotitti, il giuramento di vendicare tale affronto. Poi, sorda a coloro che intendevano consolarla, dichiarò di meritare lei stessa una punizione esemplare. Estrasse un pugnale dalla veste e se lo piantò nel cuore, crollando esamine tra la disperazione dei congiunti. La rivolta ebbe così inizio, capeggiata da un nutrito gruppo di patrizi tra cui Collatino, Spurio Lucrezio Tricipitino (il padre della vittima), Publio Valerio (futuro "Publicola") e Lucio Giunio Bruto, nipote del re. Fu proprio questo ultimo a estrarre il pugnale dal corpo della malcapitata giurando sugli Dèi di perseguitare Tarquinio il Superbo, la sua scellerata moglie e tutta la loro stirpe ("Ab Urbe condita libri", lib. I, 59). Bruto era stato un gran furbone. Il sovrano infatti aveva fatto uccidere il senatore Marco Giunio, valoroso fratello di Bruto. Questi temeva di fare la stessa fine. Dunque si era sempre finto lo scemo di corte, "bruto" appunto, tanto da entrare nelle grazie dei figlioli del tiranno. Ci fu un giorno nel quale Tarquinio il Superbo vide un serpente che sbucava da una colonna della reggia. Turbato dal terribile rettile, ordinò ai figli Tito e Arrunte di recarsi dall'oracolo di Delo per chiedere spiegazioni circa l'angosciante visione. I due fratelli partirono in fretta e furia e chiesero a Bruto di accompagnarli. Dinanzi all'oracolo, pretesero di sapere chi sarebbe stato il prossimo re di Roma. Quello aveva proferito una risposta alquanto ambigua che recitava qualcosa del tipo: «Avrà in Roma il sommo imperio chi primo, o giovani, di voi bacerà la madre». Mentre Tito e Arrunte, una volta tornati in città si scapicollarono a sbaciucchiare la mamma, Giunio inciampò sbadatamente e finendo al suolo, lo baciò. Lo "scemo" infatti aveva interpretato la parola "madre" nel significato di "Terra" e mai oracolo fu più azzeccato.

La rivolta di Lucio Giunio Bruto e la caduta del re

Tornando al giorno della rivolta. Bruto, Valerio, Spurio Lucrezio e Collatino trasportarono il corpo di Lucrezia nel foro di Collatia, una ex colonia di Alba Longa, a trenta stadi dall'Urbe, fondata dal re latino Silvio, figlio postumo di Enea e Lavinia. Dinanzi al popolo indignato per il comportamento di Sesto Tarquinio, si raccolse un esercito di giovani ardimentosi e pronti a seguire i quattro patrizi a Roma per menare le mani. Raggiunta l'Urbe, Bruto arringò il popolo nel Foro e lo tirò dalla sua parte. Tutti volevano la testa del re. Che nel frattempo aveva compiuto un grande errore. Impegnato nell'assedio di Ardea, era venuto a conosceza del misfatto di Lucio. In preda al terrore più nero e consapevole di come il figlio avesse provocato il cosiddetto "casus belli" per una rivolta, si era subito messo in viaggio per Roma con pochi armati al seguito, abbandonando le truppe. Bruto, avvisato a sua volta delle mosse del re, nell'avvicinarsi ad Ardea, deviò dal percorso abituale, evitandolo. Raggiunto l'accampamento dell'esercito, arringò pure quello e lo fece suo. I tre figli del re se la dettero a gambe. Una volta alle porte di Roma, Tarquinio il Superbo le trovò sbarrate. Spurio Lucrezio, nominato praefectus, gli comunicò la  destituzione, la confisca di tutte le proprietà e l'esilio. Era il 509 a.C. e Tarquinio trovò asilo nella cittadina etrusca di Caere (Cerveteri) insieme ai figli Tito e Arrunte.  Riguardo il destino di Sesto Tarquinio esistono diverse versioni. Una lo vede diventare un capo militare della cittadina di Fidanae (dall'incerta origine latina o etrusca), impegnato nella guerra contro Roma. Dionigi di Alicarnasso riporta che morì durante la Battaglia del lago Regillo, estremo tentativo dei Tarquini di riprendere il potere con l'aiuto dei Latini. L'ultima versione firmata Tito Livio pone Sesto in viaggio per Gabii, città latina dove anni prima aveva fomentato con l'imbroglio una rivolta per farla passare sotto l'egemonia dell'Urbe. Giunto sul posto fu scannato da coloro che aveva precedentemente ingannato. A Roma intanto si faceva la Repubblica. I Comizi Centuriati elessero i primi due consoli della Storia capitolina nelle persone di Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino. Il Senato del quale erano rimasti quattro gatti, fu portato a trecento membri e tutti giurarono che mai nessun altro monarca avrebbe governato Roma. Dopo qualche tempo, il popolo si ricordò che Collatino era un parente stretto di Tarquinio il Superbo. Di conseguenza ne chiese le dimissioni. Collatino rinunciò al consolato e se ne andò in esilio a Lavinium. Giunio Bruto che era egli stesso un parente del re, evidentemente "dimenticato", promosse la sostituzione con Publio Valerio che sempre nel 509 a.C. divenne console. La prima fase della repubblica romana si chiuse con due altri eventi traumatici. Il tradimento di Tullio Giunio, figlio di Bruto, che tramò con il re deposto e, scoperto, fu messo a morte dal padre senza versare una sola lacrima e la battaglia della Selva Arsia, (un'area boschiva al confine tra il territorio romano e quello di Veio), nella quale lo stesso Bruto trovò la morte. I forti eserciti etruschi di Tarquinia e Veio, comandati da Tarquinio il Superbo, affrontarono l'armata romana con Bruto a guidare la cavalleria e Publio Valerio a capo della fanteria. Arrunte, individuate le insegne consolari, mosse il suo cavallo incontro al cugino Bruto, chiamandolo a gran voce. Questi non si tirò indietro. Ne nacque una singolar tenzone nella quale entrambi caddero trafitti dalle rispettive lance. La battaglia infuriò fino a notte e nessuno sembrava prevalere. Stanco di tutto quel trambusto, il Dio Silvano intervenne. Si generò una furiosa tempesta e la cavernosa voce della divinità delle selve annunciò che la vittoria spettava a Roma in quanto c'era un morto etrusco in più. Publio Valerio tornò in città per celebrare i funerali di Bruto e il primo trionfo della Storia romana. Poi, preso dall'entusiasmo si mise a costruire una grande villa che affacciava sul Foro. Il popolo capitolino ritenne il suo comportamento tipico di un esaltato che aspirava a diventare re. Publio Valerio, addolorato per le malelingue, decise di demolire la villa ed erigere al suo posto un tempio. Poi si presentò al popolo con i fasci dei littori abbassati. In pratica rimetteva il suo potere nelle mani dei cittadini di Roma... E divenne "Publicola", l'amico del popolo. Tarquinio il Superbo, tuttavia, era ancora il nemico numero uno della nuova Repubblica. Egli non intendeva arrendersi e mirava con l'aiuto degli Etruschi a riprendere il controllo di Roma. Ma delle imprese del deposto sovrano parleremo in seguito...

Bibliografia e immagini
- "Storia romana", Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone. Le Monnier Università.
- "Fonti per la Storia romana", Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone. Le Monnier Università.
- "La Civiltà dell'Antica Roma", Pierre Grimal, Newton Compton Editore.
- "Gli assedi di Roma", Andrea Frediani. Newton Compton Editore.
- "Testo Atlante di Storia Antica", S. Crinò, Soc. Editrice Dante Alighieri.
- Immagini e fotografie di pubblico dominio, ove non diversamente specificato. Fonte Wikipedia.

Data di pubblicazione articolo: 02 gennaio 2020
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