La riforma agraria dei Gracchi - Il Sapere Storico. De Historia commentarii

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Articolo a cura di Andrea Contorni R.

La questione dell'ager publicus e la "nuova" nobilitas

Lo storico Appiano di Alessandria nel libro "De bellis civilibus" ci spiega come a Roma i contrasti tra popolo e Senato siano sempre stati accesi seppur non si sia mai fatto ricorso alla violenza tra romani. Almeno fintanto che Tiberio Gracco non fu assassinato nel tentativo di portare avanti la sua riforma. Questo rende la misura della portata legislativa di tale provvedimento. Nel II sec. a.C. Roma attraversava una fase di profondo cambiamento nel suo assetto sociale. Era la nuova potenza del Mediterraneo e le tante guerre combattute fuori confine nel corso dei secoli III e II a.C. l'avevano portata a estendere dominio e influenza in Spagna, in Africa negli ex possedimenti punici, in Macedonia e in Grecia e fino in Anatolia in seguito alla morte di Attalo III di Pergamo nel 133 a.C. Il sovrano attalide fu un tipo assai strano. Non gli importava quasi nulla del governo di Pergamo né del potere in generale. Era una mente illuminata, propensa allo studio della medicina, della botanica e del giardinaggio. Non ebbe figli e nel testamento lasciò l'intero regno all'Urbe.

La popolazione non ne fu felice. Ci fu anzi una rivolta, portata avanti da un tale Aristonico che si proclamava fratello di Attalo. Nel 129 a.C. la ribellione fu sedata e Roma si divise i possedimenti di Pergamo con il Ponto e la Cappadocia. Le conquiste avevano alimentato i commerci, l'esportazione e l'importazione di materie prime, generato un afflusso di grandi quantità di schiavi e di ricchezza, incentivato tutta una serie di attività legate all'investimento dei capitali romani nelle nuove province. Roma si era impossessata di iugeri e iugeri di territorio. L'ager publicus, così vasto e per nulla controllabile era passato gradualmente nelle mani di pochi e potenti proprietari, esponenti della nobilitas. La nobilitas era la classe dirigente capitolina. La Repubblica aveva subito una profonda evoluzione, scaturita dagli anni del conflitto serrato tra patrizi e plebei. In origine appartenevano alla nobilitas solamente i membri dell'aristocrazia senatoria che potevano vantare un console o un censore tra i propri antenati.

Nel 367 a.C. con le leges Liciniae Sectiae, i plebei furono ammessi al consolato. Nel 287 a.C. con la Lex Hortensia, i plebei furono del tutto eguagliati in campo politico ai patrizi. Nella nobilitas, in virtù di queste leggi, confluirono sia gli esponenti delle più antiche famiglie del patriziato, sia le famiglie di estrazione plebea che avevano raggiunto le più alte cariche dello stato. La nuova classe era piuttosto dinamica ma, logicamente, per rimanervi dentro come membro attivo bisognava darsi da fare nel campo politico o in quello militare. Andando avanti nei decenni, nel corso del II secolo a.C., la nobilitas si allargò a tutti coloro che possedevano un censo notevole, tale da assicurare una proficua carriera pubblica anche in assenza di antenati dall'importante cursus honorum.
Tiberio Sempronio Gracco
La proprietà terriera romana si evolveva verso un assetto latifondista con immensi appezzamenti di terra coltivati a prodotti validi per l'esportazione o lasciati a pascolo con una forza lavoro costituita quasi unicamente da schiavi diretti a suon di frustate da vilici (spesso ex schiavi a loro volta). Questa situazione non risparmiò neppure la penisola italica, segnata dalle profonde ferite della Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.). Le devastazioni perpetrate da Annibale, i tanti romani e italici morti sui campi di battaglia e i nuovi arruolati per le successive guerre oltremare avevano spopolato i poderi e segnato la morte della piccola proprietà terriera. Gli ex contadini affluivano a Roma in cerca di opportunità. L'Urbe si ritrovò nelle strade una consistente massa di nullatenenti con tutti i problemi di sussistenza conseguenti. Tiberio Gracco era un esponente della nobilitas ma della fazione dei populares che sosteneva, almeno sulla carta, le istanze del popolo contro l'altra fazione della nobilitas, quella degli optimates, ancorata alle tradizioni e ai privilegi tipici di una classe dominante. Tiberio avvertì i problemi legati alla gestione dell'ager publicus, e, una volta in carica come tribuno della plebe, cercò di porvi rimedio con una riforma agraria che limitasse in primis gli iugeri di terreno occupati dai privati. In questo "intento" riprese quello che era stato uno dei provvedimenti delle già citate Leges Licinie Sextie del 367 a.C. Il terreno recuperato dalle espropriazioni sarebbe stato assegnato in lotti ai cittadini più poveri in modo da incentivare, con nuovo slancio, la piccola proprietà terriera. Alla base di tale riforma c'era anche un fine pratico; l'esercito romano era formato da coscritti, reclutati in base al censo. Chi non possedeva nulla non poteva procurarsi l'armamento e non era schierabile sul campo di battaglia. Gaio Mario risolse la questione nel 107 a.C. reclutando i nullatenenti e corrispondendo loro uno stipendium. Tiberio fissò nel limite di 250 iugeri l'occupazione individuale di ager publicus, fino al massimo di 1000 per famiglie con figli. Una commissione triumvirale (Tiberio e Gaio Gracco e Appio Claudio Pulcro) si mise al lavoro riguardo questa riforma contando sul tesoro lasciato in eredità da Attalo III per procedere a eventuali indennizzi. Nel 133 a.C. Tiberio riuscì a superare l'opposizione dell'altro tribuno, Marco Ottavio e fece approvare la sua riforma dai Comitia Tributa. Poco dopo fu assassinato. Si era recato al Campidoglio dove si stava radunando il popolo per votare. Allo scoppio di violenti tafferugli, erano intervenuti uomini armati mandati dal Senato, investiti del compito di porre fine ai disordini a tutela della stessa Repubblica. Trecento cittadini romani furono uccisi compreso Tiberio, preso a bastonate e gettato nel Tevere.

"La morte di Gaio Gracco" nel dipinto di Félix Auvray
"La morte di Gaio Gracco" nel dipinto di Félix Auvray.

Dal 123 al 121 a.C. troviamo Gaio Gracco nella carica di tribuno della plebe. Egli riprese la riforma del fratello che nel frattempo era andata avanti con la distribuzione dell'ager publicus (interessante al riguardo la fonte epigrafica costituita dal Lapis Pollae, una iscrizione su una pietra miliare sulla strada Capua/Reggio in cui un magistrato si vanta di essere stato il primo a togliere terreno ai pastori per darlo ai contadini). Gaio lavorò su alcuni punti specifici. Una lex frumentaria (distribuzione di frumento alla plebe urbana a prezzo ribassato), una lex iudiciaria (i cavalieri avrebbero controllato gli speciali tribunali nati nel 149 a.C. per giudicare i governatori provinciali accusati di malversazioni), una lex de provincia asia (per l'amministrazione finanziaria dell'ex regno attalide), la fondazione di tre nuove colonie (due in Italia, una a Cartagine) e infine la proposta di cittadinanza romana ai latini e latina agli italici. L'enorme portata di questa riforma avrebbe danneggiato ancor di più gli interessi degli optimates (i conservatori) e del ceto senatoriale, persino degli esponenti della nobilitas di parte popolare, che si stavano arricchendo con traffici e coltivazioni "intensive". Nel 121 a.C. il console Opimio (che abolì il provvedimento per rendere colonia Cartagine, come apprendiamo dalle "Vite parallele" di Plutarco) rispondendo a un senatus consultum ultimum eliminò Gaio Gracco e i suoi alleati. La riforma agraria non fu mai abrogata ma l'oligarchia senatoriale fece in modo di limitarne gli effetti negli anni a seguire.

Bibliografia e immagini
- "Storia romana", Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone. Le Monnier Università.
- "Fonti per la Storia romana", Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone. Le Monnier Università.
- "La Civiltà dell'Antica Roma", Pierre Grimal, Newton Compton Editore.
- "Testo Atlante di Storia Antica", S. Crinò, Soc. Editrice Dante Alighieri.
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Data di pubblicazione articolo: 04 marzo 2019
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