Incontro con Giuliano l'Apostata - Il Sapere Storico. De Historia commentarii

Il Sapere Storico
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Articolo a cura di Alessio Valente

Flavio Claudio Giuliano: dialogo con l'ultimo imperatore pagano della Storia di Roma

L'Occidente è in totale decadenza, politica, spirituale, economica. I valori, i costumi e la cultura sono ben lontani dai vecchi fasti che l'hanno reso grande, eppure persiste a esistere come un vecchio gigante che non vuol saperne di assopirsi per sempre. Persiste come ha sempre fatto, dall'alba dei tempi. Non è facile vivere in un contesto simile, mentre tutto il resto del mondo è gravido di fermenti e pulsioni vitali e il tuo popolo non fa altro che crogiolarsi nella consumazione dei vizi e nell'edonismo egoistico e mondano. Ancora più difficile, in un contesto del genere, sottoporre delle questioni a un uomo che, oltre ad essere il più importante del tuo mondo fatiscente, è anche uno degli uomini che più sono distanti dai tempi correnti. Forse è una umana testimonianza di una luce antica, ancora non sopita del tutto, ma molto flebile. Un uomo potente, è vero, ma umile, come  ha dimostrato accettando le nostre domande; tre domande, per la precisione, come da accordi. Ed è così che ora ci troviamo in una stanza austera, ma molto illuminata, in cui quell'uomo cede quotidianamente alla fame che il suo spirito nutre per la sapienza. La sua figura incute timore, non per superbia o per la posizione ricoperta, ma perché incarna tutto ciò a cui sentiamo dover aspirare: la virtù. Il nostro sguardo però, dopo un esame fugace, si fissa per qualche istante sulla lunga barba che ne incornicia il volto. L'Augusto sembra accorgersene, ma non vi è cenno in lui di alcun sussulto. Di contro, ci sentiamo colpiti dalla curiosità dei nostri stessi occhi e l'imbarazzo ci ricade addosso. Così, essendosi compiuto il tempo dei convenevoli, decidiamo di uscire allo scoperto per evitare ulteriori fraintendimenti. Sarà la cronaca a favorire il nostro intento, così porgiamo la nostra prima domanda:

Abbiamo appreso delle numerose satire circolanti in Antiochia e che hanno come oggetto prediletto la lunghezza della vostra barba. Avete intenzione di censurarle?

No, di certo. Il mio spirito non me lo permetterebbe. Ho sempre avuto un temperamento democratico e certi metodi non mi appartengono. Anzi, ho voluto accogliere le critiche che mi sono state rivolte e, oltretutto, le ho condivise se non rafforzate. Nella mia lettera rivolta ai cittadini di questa gloriosa città, ho spiegato come anche al mio capo si estende il disordine, poiché poche volte mi taglio i capelli e le unghie; e ho le dita per lo più nere d'inchiostro. Ho perfino rivelato che ho anche il petto irsuto e villoso, come quello dei leoni che per natura regnano sulle belve. Purtroppo, ho dovuto ribadire come questa rozzezza del corpo si rifletta nel mio essere. Odio l'insulsaggine dei teatri e le corse dei cavalli, che guardo solo durante le feste degli Dèi, ma non senza sofferenza. Ne guardo sei in tutto, a differenza di mio cugino Costanzo o di mio fratello Gallo. La mia anima è più avvezza alla frequentazione dei templi e all'omaggio degli Dèi, piuttosto che degli uomini. E anche questo mi viene rimproverato. Ma neanche di ciò mi rammarico, poiché non compresi io per primo quale fosse l'indole di questa città, che prese il nome da colui che cedette sua moglie al proprio figlio, per compiacerne la passione. È naturale che i costumi dei posteri siano simili a quelli dei progenitori, così come le piante trasmettono per lungo tempo, alle generazioni successive, le proprie qualità. Benché non provi rammarico né biasimo per nessuno dei miei più feroci critici, a qualcuno sento di poter affibbiare, però, delle responsabilità: al mio pedagogo. "Non ti persuada mai, la turba dei coetanei che frequenta i teatri, a desiderare spettacoli come quelli. Ti appassiona la corsa dei cavalli? In Omero ce n'è una descritta con grandissima abilità. Prendi il libro e studialo." Fu egli a chiamare dignità la rozzezza, sobrietà la mancanza di gusto, forza d'animo il non cedere alle passioni e il non gioire con esse. Ma desidero che nessuno si adiri con lui, me compreso, poiché mai avrebbe potuto sapere che io sarei giunto presso certi popoli, da imperatore. La mia intenzione, resta comunque quella di ritirarmi da questa città, in modo da non infastidire più con la mia barba e la mia sobrietà. Vorrei però dirimere una questione che, come dire, si cela dietro la mia barba: quando arrivai qui, la gente, oppressa dai ricchi, lanciò subito nel teatro questo grido "Tutto abbonda, tutto è caro!". Ne parlai coi maggiorenti della città e mi venne detto che avrebbero preso a cuore la questione. Ebbene dopo tre mesi di attesa e di mia assenza, decisi di fissare un prezzo moderato per ciascuna cosa e lo resi manifesto. Poiché non vi era grano a causa della siccità precedente, ne feci arrivare di mia proprietà.  Ma cosa facevano dunque i cittadini più ricchi? Lo acquistavano per speculare su un rialzo del prezzo fuori dalla città o più in là nel tempo. Lasciatemi concludere, dunque, che di tutti i mali io sono l'autore, poiché ho posto benefici in animi ingrati. La colpa è della mia stupidità, non della libertà altrui. (Tratto dal "Misopogon", satira composta da Giuliano ad Antiochia di Siria)

***
La risposta di Giuliano, tanto prolissa quanto necessaria a togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ci lascia senza parole per qualche istante. In pochi minuti abbiamo acquisito la consapevolezza di quanto sia difficile mettere in difficoltà un uomo così saldo in sé stesso. Nessuna delle parole sembra esser stata pronunciata con livore o passione, ma con saggezza e profonda riflessione. Ed è forse questa sensazione che ci fa scegliere la seconda domanda da sottoporre. Una domanda che forse potrebbe provocare qualche lieve moto d'ira e che riguarda un argomento che l'Augusto ha decisamente a cuore:

Ma non solo Antiochia è stata teatro di polemiche. Sappiamo, ad esempio, del vostro risentimento verso i Galilei, ai quali avete anche dedicato uno scritto.

Nel mio scritto volevo semplicemente esporre a tutti la macchinazione dei galilei, che altro non è che un inganno. Partiamo dal principio: "Non è bello che l'uomo sia solo; facciamogli un aiuto, simile a lui", dice il Dio dell'insegnamento giudaico.  Ma quell'aiuto non l'ha aiutato affatto, ma lo ha ingannato ed è diventato, per lui e per sé, causa dell'espulsione dalla delizia del paradiso.  Ciò è del tutto favoloso. È ragionevole che Dio ignorasse che l'essere proveniente da lui come un aiuto sarebbe diventato non tanto un bene, quanto piuttosto un male per chi l'avesse ricevuto? E il fatto che Dio proibisca agli uomini il discernimento del bene e del male non è forse il colmo dell'assurdità? Insomma, Dio proibì all'uomo di gustare della saggezza, della quale non potrebbe esservi nulla di più prezioso per l'uomo. Cosicché il serpente fu più il benefattore che non un distruttore del genere umano. Se queste storie non sono un mito per raccontare una dottrina indicibile, come io ritengo che sia, allora sono ridondanti di blasfemia. Ignorare che colei che era nata come aiuto sarebbe stata causa della caduta, il proibire la conoscenza e, inoltre, esser geloso che l'uomo, partecipando della vita, da mortale diventi immortale, tutto questo è caratteristico di un essere invidioso e maligno. Da Mosè e Gesù a Paolo, inoltre, i loro profeti dicono chiaramente che il loro Dio si sia curato dei soli ebrei fin dal principio e che quella sia stata la sua parte prediletta. C'è da dire che fra i tre, Paolo ha la caratteristica di cambiar colore come i polipi lo cambiano a seconda degli scogli. Quando si tratta di far aggregare i Greci presso di sé, infatti, non esista a dire che "Dio non è solo dei giudei, ma anche delle genti, si, anche delle genti".  Verrebbe da chiedergli, certo, perché a loro ha mandato crismi e profeti lasciando noi a venerare gli idoli per  migliaia di anni. Conviene dunque pensare che questo Dio abbia un potere circoscritto e che sia un dio come tutti gli altri, quindi. Consideriamo inoltre, che benché non appartenenti alla cerchia di questo Dio, noi abbiamo ricevuto tante meraviglie, dalla scienza, ai filosofi, ai regni; non starò qui ora a elencarle tutte, poiché il tempo non ci basterebbe. Tutte cose che presso gli ebrei erano in una condizione più misera e barbara. Ma io critico i galilei perché si sono allontanati anche dalle dottrine ebraiche, distanziandosi più dai loro insegnamenti che dai nostri. Dagli uni e dagli altri hanno tratto il peggio: sia l'arroganza giudaica che l'indifferenza e la volgarità dei gentili. Essi considerano impuri i sacrifici, inoltre, mentre Mosè e i giudei mangiano solo cibi consacrati e pregano prima di sacrificare e offrono la spalla destra come primizia ai sacerdoti. Nel mio scritto ho voluto dimostrare che i giudei concordano coi gentili, tranne per il fatto che credono in un solo, unico, dio. Ciò è infatti una loro peculiarità, a noi estranea, mentre il resto ci è, in qualche modo, comune. Il Dio dei giudei comunicò ad Abramo che avrebbe avuto una terra in eredità proprio grazie agli auspici: "Prendimi una giovenca di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e una colomba".  Egli li prese e li spartì a metà, ponendo una metà dinnanzi all'altra. Ma gli uccelli non li spartì e scesero sulle parti tagliate a metà ed Abramo sedette tra loro. Dio mostrò ad Abramo la verità per mezzo degli uccelli, la qual cosa ha ovviamente una certa familiarità presso di noi. Ecco, dunque, il senso del mio scritto. Io non voglio che i Galilei siano uccisi, né che siano percossi ingiustamente, né che soffrano qualunque altra disgrazia.  Tuttavia affermo, senza alcun dubbio, che a loro devono essere preferiti gli adoratori degli Dèi, perché è a causa della demenza dei galilei che tutto è stato sovvertito, mentre è grazie alla benevolenza degli Dèi che noi tutti veniamo preservati. (Tratto dall'opera in tre libri "Contro i Galilei", scritta da Giuliano ad Antiochia)

***
A disdetta di ciò che credevamo, neanche stavolta le parole di Giuliano sembrano cariche d'ira o astio. I suoi occhi però ci sono sembrati più accesi e, in qualche modo, "appassionati". Cosa che non sorprende, dal momento che la predilezione dell'Augusto per "gli affari del cielo" rispetto a quelli terreni è piuttosto nota. Ed è approfittando di quella luce che ha acceso i suoi occhi che porgiamo la nostra terza ed ultima domanda.

Dunque, la dottrina dei Galilei è una dottrina falsa e artificiosa. Lasciateci chiedere, allora, quale sia la vera dottrina; dov'è da cercarsi la sapienza?

Anche riguardo ciò ho avuto modo di scrivere qualche parola, tentando di avvicinarmi alla verità quanto più mi è concesso. Ho sperato che vi sia l'oblio sulla tenebra che mi ha avvolto, quando ancora ero dedito alle dottrine che ho appena biasimato. Sarò sempre grato a Helios per la mia sorte e per aver potuto godere di un risveglio che eccitò la mia contemplazione. E so bene quanto sia difficile, per chi contempla il dio visibile, comprendere quanto sia grande l'invisibile. Arrivare alla totale comprensione, non è fatto per nessun uomo del mondo, ma proverò, spero assistito, a spiegare alcuni concetti fondamentali. Questo cosmo divino e bellissimo, è tenuto assieme dall'indistruttibile provvidenza del Dio. Esiste dall'eternità e in eterno, da null'altro conservato che dal quinto corpo, la cui sommità è il raggio del Sole. Poi a un grado, per così dire, superiore, dal mondo intelligibile; e in un senso ancora più elevato, dal Re dell'universo, nel quale tutte le cose hanno il loro centro. Questo, sia che convenga chiamarlo Uno, l'Idea degli esseri, o il Bene - come è solito chiamarlo Platone - ha manifestato da sé Helios, grandissimo Dio, in tutto simile a sé per farne un mediatore fra le cause intellettuali e demiurgiche. La sua luce, penso, ha con il mondo visibile la medesima analogia  che la verità ha con il mondo intelligibile. E le sue qualità di perfezione, bellezza e di unità le dà anche agli Dèi intelligibili, essendo stato preposto dal Bene a comandare su di loro. Secondo l'opinione dei Fenici, i quali sono sapienti e istruiti nelle cose divine, lo splendore diffuso dappertutto è l'incontaminata energia dell'intelletto puro. I pianeti, danzando intorno a Helios come a un re, si muovono in cerchio in perfetta armonia, a intervalli determinati rispetto a lui, facendo certe pause e andando avanti e indietro nel loro percorso. Dobbiamo dunque logicamente supporre che abbia un rapporto di analogia con tale ordine anche il più venerabile ordinamento dei corpi tra gli Dèi intellettuali. Il potere di perfezionare, rendendo visibili le cose dell'universo, quello demiurgico e di connettere le cose facendosi centro, sono solo sue prerogative; ecco perché dobbiamo attribuirgli la supremazia fra gli Dèi. E' infatti evidente che i pianeti, danzando intorno a lui, hanno come misura l'accordo delle loro figure con questo dio, e così il cielo nella sua totalità, armonizzandosi con lui in tutte le sue parti, è pieno di Dèi che procedono da Helios. Atena e Apollo, che condividono il trono, io ritengo che non differiscano per niente da Helios. Selene, che è l'ultima dei corpi sferici, da Atena è colmata di saggezza, per cui essa contempla gli intelligibili sopracelesti e ciò che sta sotto di lei e, ordinando la materia con le sue forme, elimina l'aspetto selvaggio e turbolento di questa. Afrodite invece, è una sintesi degli Dèi celesti e della loro armonia. Essa è amore e unità. Non meno importanza ha la madre degli Dèi, che generò il nostro Attis, o il nostro Gallo, che non sono altro che l'essenza dell'Intelletto generatore e demiurgico, la quale genera tutte le cose fino al limite estremo della materia. Ma se essa non è un semplice fatto naturale e discende dal quinto corpo, come dice Senarco, come si può di esso indagare la causa? Egli dice male, quando dice che non sia necessario. Attis, amato dalla madre di tutti gli Dèi, da essa ricevette tutto. Ma il mito ci dice che dopo essersi spinto fino al limite estremo, discese nella caverna, dove si unì con la ninfa, una chiara allusione all'umidità dell'ultima causa incorporea prima della materia. Chi è dunque la madre degli Dèi? È la sorgente degli Dèi intellettuali e demiurgici che governano gli Dèi visibili. È la Dèa che generò il grande Zeus e con lui coabita, lei grande dopo lui grande. È la signora di tutta la vita, la causa di tutta la generazione. Il mito dice che la Madre esortò Attis a rendere culto a lei stessa e a non allontanarsi e a non amar un'altra. Egli invece procedette e discese fino ai limiti estremi della materia. Così Helios, attraverso il Leone, che ha l'essenza del fuoco, denunciò la degradazione di Attis, essendone causa della sua mutilazione. Mutilazione che non è altro che un freno alla spinta senza limite, un modo per ricondurre questo semidio, se non dio a tutti gli effetti, alla madre degli Dèi, evitando il suo declinare verso la materia.  Per questo celebriamo tramite il taglio del pino sacro. Gli Dèi, penso, ci vogliono ricordare che bisogna cogliere dalla terra il più bel frutto, ossia la virtù unita alla pietà, e offrirlo alla Dea qual simbolo della bene ordinata vita sociale di quaggiù. Infatti l'albero nasce dalla terra e si affretta quasi verso l'etere. Queste, sono alcune delle verità che io conosco e sento. Non sono molte, ma le ho apprese con grandi fatiche. (Tratto dagli Inni "A Helios Re" e "Alla Madre degli Dèi", scritti da Giuliano)

***
E' così che termina il nostro tempo a disposizione con Flavio Claudio Giuliano. Sappiamo in cuor nostro che avrebbe senz'altro passato ancora un po' di tempo con noi, a raccontarci di miti e teologia, ma gli affari terreni sono numerosi e desiderosi di attenzioni. Lasciamo quella stanza austera senza aver ben compreso quale sia l'essenza della verità che ci è, in parte, stata svelata. Non vogliamo neanche azzardare un giudizio sulla bontà delle sue dottrine, cosa che lasciamo ai teologi. Sicuramente, però, una verità la possediamo con certezza: torniamo da quella conversazione con la stessa luce che avevamo scorto, poco prima, negli occhi dell'Augusto.  

Bibliografia e immagini
- "Uomini e Dèi. Le opere dell'imperatore che difese la tradizione di Roma", a cura di Claudio Mutti. Ed. Mediterranee.
- "Alla madre del Dèi e altri discorsi", a cura di J. Fontaine, C. Prato e A. Marcone. Mondadori.
- "L'imperatore Giuliano l'Apostata", Gaetano Negri. Fratelli Melita Editori.
- Immagini e fotografie di pubblico dominio, ove non diversamente specificato. Fonte Wikipedia.

Data di pubblicazione articolo: 24 giugno 2019
Offerta votiva, particolare da un dipinto di Lawrence Alma-Tadema
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Il filosofo Giamblico, esponente di spicco della scuola filosofica del neoplatonismo
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Metopa raffigurante Elio che esce dal mare
Metopa raffigurante Elio che esce dal mare. Rinvenuta all'angolo Nord-Est del tempio di Atena a Troia da Heinrich Schliemann nel 1872, e risalente al IV secolo a.C., è conservata al Pergamonmuseum di Berlino.
Bassorilievo del II-III secolo raffigurante una tauroctonia, Mitra che sacrifica il toro sacro
Bassorilievo del II-III secolo raffigurante una tauroctonia, Mitra che sacrifica il toro sacro.
Siliqua di Giuliano
Siliqua dell'imperatore Giuliano, fronte.
Siliqua di Giuliano, retro
Siliqua dell'imperatore Giuliano, retro.
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