Ipazia di Alessandria
Storia romana > Il Dominato
Articolo a cura di Andrea Contorni R.
Scrivere di Ipazia di Alessandria non è facile. È un argomento che tende spesso ad assumere significati politico-religiosi troppo marcati rispetto all’esistenza di questa grandissima personalità dell’antichità. Il 2009 è stato un anno importante per Ipazia, segnato dall'uscita nelle sale cinematografiche del film "Agorà" dello spagnolo Alejandro Amenàbar. Una pellicola di indubbio fascino e valore che ha fatto riflettere sul tremendo periodo storico di passaggio o di rottura, rappresentato dal V secolo. Un film che ha riportato Ipazia alla ribalta delle memorie dei posteri comportando una sorta di risveglio delle coscienze. Il lavoro di Amenàbar suscitò nel Bel Paese una sfilza di polemiche quando si affacciò, fuori concorso, in quel di Cannes. Lo si accusò ad esempio di trasformare una figura simbolo di libertà come quella della filosofa in una sorta di "conflitto di religione". Inoltre ci fu un ritardo di un anno nella distribuzione della pellicola nelle sale italiane. Si raccontò di ingerenze "Vaticane" nel tentativo di censurare l'opera perché gettava fango sul ruolo dell’embrionale Chiesa di Roma. Tesi complottistiche si alternarono a motivazioni più veniali: i distributori originali avrebbero accampato richieste troppo esose per la cessione dei diritti a fronte dell'effettiva potenzialità di "Agorà". Che il film di Amenàbar gettasse un'ombra nera come la pece su una figura importante per la Chiesa quale quella di Cirillo, Patriarca di Alessandria, poi Santo e Dottore della Chiesa, è innegabile. Da qui a parlare con sicurezza di ostruzionismo cattolico ce ne corre. Forse l'unica ragione per cui il lungometraggio giunse in Italia con ritardo rispetto al resto del mondo, risiede nel fatto che la distribuzione si interrogò su quanto un film storico con protagonista una figura sconosciuta a molti, potesse far botteghino. Infatti incassò "appena" due milioni e rotti di euro, piazzandosi al 68° posto della classifica ufficiale dei film più gettonati della stagione 2009-10 (classifica ufficiale movieplayer.it). Figurarsi che fu sovrastato persino da "G.I. Joe. La nascita del Cobra". Come è giusto che sia, dal 2009 anche la letteratura ha cavalcato trionfante l'argomento "Ipazia". La neoplatonica era ormai di moda.
Ipazia è stato un meraviglioso personaggio storico. Non è uno strumento di guerra dialettale tra religiosi e anti-religiosi o tra religiosi di diversi credi. Non merita le polemiche che hanno dilaniato la fatica del regista spagnolo. Ipazia andrebbe considerata una martire del paganesimo o una donna morta in nome della scienza e della libertà di pensiero, similmente al filosofo Socrate, suicida con la cicuta? Parlare di fondamentalismo cristiano rapportato al V secolo d.C. è esatto o antistorico? Tutte queste domande possono trovare risposta nell’esistenza stessa della studiosa di Alessandria e ancor più nel periodo storico dal quale Ipazia non andrebbe mai estrapolata. Per queste ragioni, preferisco considerare Ipazia, prima di tutto, una vittima della Storia.
Una crisi partita da lontano
Ipazia morì ad Alessandria d'Egitto nel 415 d.C. mentre cinque anni dopo, non si sa precisamente dove, nel 420 nacque Giulio Valerio Maggioriano, futuro imperatore romano di cui parleremo in seguito. Cosa unisce questi due personaggi? La crisi del V secolo. L'Impero Romano d'Occidente collassò nel 476 d.C. quando Odoacre depose il suo ultimo imperatore, Romolo Augustolo. I massicci movimenti di popoli dal nord e dall'est del continente europeo, riassunti sui libri di storia nelle ben conosciute "invasioni barbariche", comportarono nelle ex province romane e non solo degli insanabili stravolgimenti socio-culturali. Ma la crisi del V secolo non fu solo questo. Concentriamoci per un istante sulla parte occidentale dell'Impero Romano. La crisi del V secolo partì da lontano, da ben due secoli prima. Il III secolo infatti fu un'epoca difficile per Roma soprattutto tra il termine della dinastia dei Severi e l'ascesa di Diocleziano. Instabilità politica, recessione economica e demografica, pressione sui confini e disordini interni sembravano preannunciare l'imminente fine del grande impero. Ma nel 284 spuntò fuori Diocleziano e Roma ritrovò pace e sicurezza. Due secoli ancora, al termine dei quali tutte le sciagure evitate per un pelo nella crisi del III secolo, sarebbero ritornate più forti e devastanti che mai. Ma diversi storici fanno risalire l'embrione della crisi del V secolo addirittura al termine del regno di colui che è considerato tra i più grandi imperatori romani di sempre, ovvero Marco Aurelio in carica dal 161 al 180. In ogni caso, la crisi del V secolo rappresentò per l'Occidente un periodo di profondo passaggio, in cui avvenne un'insanabile rottura con il mondo degli antichi, uno stravolgimento degli usi e dei costumi, della mentalità, della società stessa. I contadini erano sempre meno. Le terre incolte e il latifondismo dilagante avevano annientato quasi del tutto l'economia agricola. I prezzi dei beni primari erano alti e la povertà dilagava come un fiume in piena. Nella penisola italica che per secoli aveva fornito i migliori soldati alle legioni di Roma, nessuno aveva più intenzione di arruolarsi. Gli eserciti dell'Urbe erano ormai un'accozzaglia di stranieri e mercenari. L'impero era diviso in due tronconi. Nella parte occidentale chiunque fosse al comando di un esercito poteva aspirare al trono. Omicidi, usurpazioni, lotte di potere e guerre civili erano all'ordine del giorno. Al di là dei confini nuovi popoli si erano messi con violento ardore in cerca di una identità territoriale. Roma aveva perso la sua centralità. Si era trasformata in una città logora e fatiscente. Gli antichi monumenti gemevano, abbandonati nell'incuria. Quelli che erano stati templi opulenti, esalavano l'ultimo respiro, distrutti e spogliati di ogni arredo. Frotte di nullatenenti e accattoni arrancavano nelle vie, chiedendo spiccioli con mani piagate da malattie e pestilenze. Vecchi e nuovi senatori se ne stavano ben chiusi in ville fortificate in provincia, con masnade di guardie private al soldo. Oltre questa generale débâcle, soprattutto all'interno dell'Impero d'Occidente era in essere un importante cambiamento sotto traccia; l'autorità religiosa rappresentata dal Papa e dai vescovi tendeva a sostituirsi gradualmente all'autorità rappresentata dal debole potere centrale dello Stato. Le funzioni dei vescovi nell'impero cristianizzato si espansero per colmare i vuoti lasciati dalla vecchia struttura amministrativa romana e si generò di conseguenza una notevole confusione di autorità nella gestione dei poteri. Se fossimo stati un contadino dell'epoca in Gallia, dunque in una delle province più romanizzate dell'impero, e avessimo voluto giustizia per due polli rubati, non ci saremmo recati dal prefetto ma dal vescovo o dal prelato di quella determinata regione. L'Occidente romano andò verso il baratro; la sua struttura portante, ormai consumata e pericolante, non fu in grado di contrastare l'onda del cambiamento e crollò inesorabilmente. L'Oriente, al contrario, sfruttando anche un migliore equilibrio tra Stato e Chiesa in un periodo fervido di concili e dottrine e contando su risorse economiche maggiori, riuscì a sopravvivere e proliferare per secoli, evolvendosi in quel duraturo regno che fu quello Bizantino. L'imperatore Teodosio, ultimo a regnare su un impero unificato dal 379 al 395, rese il Cristianesimo religione di stato, riconoscendo il primato di Roma e Alessandria d'Egitto in materia di teologia. Con i suoi decreti bandì il paganesimo a fronte di pene terribili ed entrò suo malgrado nelle vicende di Ipazia.
Alessandria, un centro pulsante di cosmopolitismo

Una donna di talento

Conflitti di potere

Ipazia morì nel mese di marzo 415, alcune fonti dicono il giorno 8. Venne sorpresa da un gruppo di cristiani (parabolani?) mentre se ne tornava a casa. Fu portata di peso all'interno della Chiesa di Cesario in Alessandria, denudata e fatta a pezzi con dei cocci; i suoi resti furono bruciati e di lei non rimase traccia alcuna. Ovvio che si disse in giro che la filosofa se la fosse cercata dato le sue idee profondamente pagane e anti-cristiane. Un pretesto, tutto sommato, buono e giusto per coprire un intento più "finemente" criminale. L'inchiesta governativa fu archiviata dopo essere transitata negli uffici di Elia Pulcheria, futura santa. Il coinvolgimento nel brutale assassinio di Cirillo non fu mai comprovato, secondo le fonti. Il vescovo cristiano Giovanni di Nikiu, vissuto nel VII secolo la ricorda in questo modo nella sua Cronaca: «In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici. Il governatore della città l'onorò esageratamente perché lei l'aveva sedotto con le sue arti magiche. Il governatore cessò di frequentare la chiesa come era stato suo costume. Ad eccezione di una volta in circostanze pericolose. E non solo fece questo, ma attrasse molti credenti a lei, ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua.»


La morte della filosofa Ipazia in una illustrazione d'epoca e nel dipinto di Charles William Mitchell.
L'epilogo della crisi
Mi stavo dimenticando di Giulio Valerio Maggioriano, citato ad inizio articolo. 42 anni dopo l'uccisione di Ipazia, fu imperatore romano d'Occidente, tre anni più tardi morì ammazzato per mano di Ricimero. Il suo governo fu teso, fin dall'inizio, al ripristino del mondo degli antichi, della legge e del diritto romano a scapito del potere vescovile. Egli si fece promotore del rispetto per la memoria storica, per i monumenti e per le religioni di ogni dove. Sognava il ripristino dei confini di quello che fu tra i più grandi imperi della storia. I suoi contrasti maggiori furono con la pigra classe senatoriale italica alla quale affiancò la più attiva aristocrazia provinciale, con la Chiesa di Papa Leone Magno, con parte del suo entourage, tra cui il "fido" Ricimero. Tutti videro in Maggioriano il restauratore di un mondo che andava a morire e che doveva morire. La sua fine, commovente sotto alcuni punti di vista al pari di quella di Ipazia, è quella di una vittima della Storia.
Bibliografia e immagini
- "Gli Imperatori Romani", Michael Grant. Newton & Compton Editori.
- "La caduta di Roma e la fine della civiltà", Bryan Ward-Perkins. Editori Laterza.
- "Storia Romana", G. Geraci e A. Marcone. Le Monnier Università.
- "Fonti per la Storia romana", Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone. Le Monnier Università.
- Immagini e fotografie di pubblico dominio, ove non diversamente specificato. Fonte Wikipedia.
Data di pubblicazione articolo: 18 marzo 2019

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